La storia del Torchiato di Fregona si perde nelle diverse storie che raccontano ancora i contadini: la più accreditata narra che più o meno attorno al 1600, nella frazione di Ciser di Fregona, ai piedi del Monte Pizzoc, un vignaiolo fu costretto a vendemmiare dell’uva nonostante non fosse perfettamente maturata a causa di una gelata anticipata.
Vendemmiò l’uva, fece spazio nel granaio e la stese su dei graticci scoprendo che quel posto così arieggiato e luminoso offriva ottime condizioni per completare la maturazione dell’uva.
Di quei grappoli pendenti non se ne curò particolarmente, al punto che la successiva primavera si sorprese nel ritrovare dell’uva dolcissima ma anche indurita dal processo di appassimento. Provò quindi a torchiarla a più riprese visto che una sola volta non sembrava sufficiente. Mise poi il mosto a riposo in piccole botti senza troppe convinzione. A distanza di un anno il primo assaggio illuminò il volto dell’agricoltore che comprese di aver scoperto un vino straordinario.
Il Torchiato di Fregona è “un vino di prelibata qualità, dolce-amaro, ricco di alcool, gustosissimo”, che viene ottenuto da uve passite e poi torchiate durante la settimana di Pasqua; per questo è detto anche “Vin Santo“.
Il procedimento, alquanto laborioso, è tramandato con passione di padre in figlio. I grappoli d’uva bianca, Verdiso, Boschera (vitigno quasi introvabile altrove) e Glera, ma anche con piccole aggiunte di Bianchetta, vengono staccati maturi, ma non troppo, dalla mano delicata delle donne, dopo di che vengono appesi singolarmente a delle cordicelle o stesi su graticci in ambienti asciutti e ben arieggiati, avendo la cura di togliere gli acini rotti o attaccati da muffe.
Per la torchiatura a Pasqua si procede quindi a diraspare i grappoli a mano ed a torchiare gli acini appassiti. Il mosto ottenuto viene lasciato decantare per eliminare grossolanamente le parti solide, dopo di che è fatto fermentare lentamente in botticelle di rovere e acacia non del tutto colme, affinché il vino si ossidi a contatto con l’aria disperdendosi in piccola parte.
Le botti di rovere assorbono circa 10-12 litri di vino e vengono adoperate per circa 10-12 anni. Il 2 agosto, che per antica simbologia pagana, è la festa degli uomini (il giorno dedicato alla virilità), i maschi procedono al rito dell’assaggio del nuovo Torchiato, destinato ad un ultimo passaggio in botte (questa volte riempita completamente) fino alla primavera successiva, in cui viene imbottigliato.
E’ un vino raro, da meditazione, da servire con pasticceria secca a base di mandorle, ma può accompagnare anche alimenti più complessi come formaggi erborinati.